mercoledì 5 ottobre 2016

Allacciate le cinture di sicurezza: turbolenze in arrivo


Dopo una prima metà dell'anno a bearsi nel placido stagno di cazzate ottimisteggianti (è arrivata la ripresa! ripartono le assunzioni! L'Ue ci dà un sacco di flessibilità! Apple apre un megacentro di sviluppo a Napoli!), con solo qualche fastidiosa nuvola in lontananza (tipo la Brexit, ma tanto ora vedrai come la pagano, quegli sciocchi inglesi!), gli ultimi mesi del 2016 stanno portando un brusco risveglio e i prodromi di un 2017 che si annuncia ancora più complicato dell'anno in corso.

Il governo si trova sempre più stritolato tra ciò che vorrebbe fare (spesa pubblica per sopire il malumore crescente nel paese e riguadagnare un po' di consenso perduto) e ciò che è costretto a fare (tagli alla stessa spesa pubblica e aumenti occulti della tassazione). E si trova in questa scomodissima posizione proprio a causa dei trattati che difende a spada tratta. I famosi vincoli Ue stanno soffocando non solo l'economia, ma anche la governabilità in Italia e in molti degli altri stati membri, rendendo indigesto nel giro di pochi mesi agli occhi dei cittadini qualsiasi esecutivo. Basti pensare all'entusiasmo con cui venne accolto il governo Monti nel 2011 ed al sollievo generale seguito alle sue dimissioni meno di un anno e mezzo dopo.

La scommessa di Renzi, una volta nominato Viceré d'Italia, era quella di portare avanti rapidamente l'agenda ordoliberista programmata per tutti gli stati della Ue, ottenendone in cambio qualche scampolo di flessibilità per mantenere la propria popolarità su livelli accettabili. Niente di strano, fa parte dell'armamentario base di ogni politico una certa quota di spesa per ingraziarsi i favori degli elettori. Nei primi mesi ci era anche riuscito, ad esempio con il bonus degli 80 euro, grazie a cui aveva potuto centrare il pazzesco 40,8% delle elezioni europee 2014. E su questa scia si è continuato anche nel 2015, sfruttando ogni occasione possibile per strappare ai suoi superiori (il grumo di interessi finanziari di stanza a Bruxelles) briciole di denaro utili a mascherare il sostanziale collasso della fu quinta potenza economica mondiale.

Ma il giocattolo si sta rompendo e i bluff seminati nel tempo stanno venendo impietosamente scoperti: dalla crescita ampiamente al di sotto delle stime, ai dati sull'occupazione drogati a colpi di voucher, al sistema bancario in stato pre-fallimentare. Il tutto mentre dall'Unione arriva il messaggio che la flessibilità disponibile è terminata. E come se non bastasse a breve il risultato del referendum costituzionale potrebbe assestare il colpo di grazia al renzismo.

Se la luna di miele tra governo e Nazione è già finita, altrettanto sembra stare accadendo tra governo ed Unione, dove i tre portavoce principali dell'Ancien Régime 2.0 hanno iniziato a riservare al nostro PdC lo stesso trattamento, misto di insofferenza e spocchia, che venne riservato a Berlusconi appena prima della sua deposizione. Ed anche la stampa estera "di peso" che un tempo sosteneva il premier sembra in fase di riposizionamento. In questo contesto sfavorevole, il nostro esecutivo sta letteralmente raschiando il fondo del barile per trovare scuse con cui giustificare un minimo di spesa. Tutto, dalle ondate migratorie al terremoto nel centro Italia all'edilizia scolastica, diventa pretesto per aggirare le regole unioniste senza denunciare apertamente la loro illogicità.
Per quanto riguarda il tenere i piedi in due staffe, il buon premier non ha nulla da imparare.

Il problema è che tutta la strategia governativa è improntata al semplice comprare tempo, ma più tempo passa più la situazione diventa ingestibile: i dati sul Pil continuano a confermarsi ampiamente al di sotto delle previsioni e non possono migliorare magicamente, né l'impatto dei costi legati alla cosiddetta "accoglienza" (sia quelli economici, che quelli sociali) possono farsi meno gravosi, dal momento che il resto dei paesi Ue sta iniziando a stringere le maglie cercando di filtrare i flussi in arrivo per accogliere il necessario respingendo (ovvero lasciando a noi) il problematico e l'indesiderabile. Aggiungiamo alla ricetta il clamoroso, ma "stranamente" passato sotto silenzio mainstream, flop delle privatizzazioni ed otterremo un quadro generale desolante.

Il governo ha assolutamente bisogno almeno di un successo politico a fronte del disastro economico, e sta puntando tutte le sue carte sul referendum del 4 dicembre, mobilitando ogni risorsa a disposizione per poter portare a casa il risultato. Parallelamente però sembra essere in atto una sorta di "Piano B", che passa per lo screditamento di ogni alternativa futura (in particolare quella stellata) in modo da potersi riproporre, in perfetta logica TINA, come unico esecutore possibile del programma del Régime in Italia.

In ogni caso, la data del 4 dicembre si configura sempre più come momento chiave della vita politica nazionale, le cui ripercussioni potrebbero assestare un colpo importante anche oltreconfine, in particolare dalle parti di Bruxelles.

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