venerdì 16 dicembre 2016

Nasce il governo di trincea del Conte Gentiloni


Alla fine di una crisi-lampo, con una cerimonia sbrigativa ed a tratti surreale, il 12 dicembre è nato ed entrato in carica il governo del Conte Gentiloni. In teoria dovrebbe essere poco più che un segnaposto per occupare il tempo che ci divide dalle prossime elezioni, con l'unico scopo di coordinare i lavori parlamentari per l'approvazione di una nuova legge elettorale, ma il timore è che le cose non andranno affatto in questo modo.

Ci sono fondati motivi per credere che questo esecutivo rimarrà in carica fino a fine legislatura (febbraio 2018), e che in questi 14 mesi tenterà di costringere il più possibile entro binari obbligati qualsiasi governo dovesse uscire dalle future votazioni, in modo da disinnescare preventivamente qualsiasi tentazione "populista" da parte degli elettori. Dopo il clamoroso errore - nell'ottica dell'Ancien Régime 2.0 - del referendum del 4 dicembre, all'Italia non saranno più concesse distrazioni o deviazioni dal percorso stabilito.

Nella sua infinita grazia, il Régime ha tentato per alcuni anni di fare in modo che fosse il popolo italiano, sua sponte, a infilare il capo nel cappio delle tanto agognate "riforme strutturali", rendendo irreversibile l'assoggettamento all'Unione ed alla sua religione ordoliberista. Ma noi niente, testardi, abbiamo rigettato prima il tentativo tecnocratico di Monti, poi quello più guascone di Renzi.

Ora non rimane che forzare la mano ed ottenere il completo allineamento dell'Italia a colpi di (ulteriori) crisi, magari grazie alla collaborazione di un PdC di provata fede eurista e con limitate ambizioni personali - libero cioè della necessità di alimentare consenso per la propria figura - che, a seguito del deteriorarsi della situazione bancaria e magari della richiesta di Bruxelles di una manovra correttiva in primavera, si veda "costretto" a chiedere il generoso aiuto della Ue appellandosi al MES. A quel punto si entrerebbe in uno scenario di tipo greco, con le istituzioni nazionali ridotte a semplici passacarte delle decisioni euriste.

Dalla trincea in cui è stato catapultato, il Conte Gentiloni deve solo resistere quella manciata di mesi necessaria perché la situazione si comprometta abbastanza da giustificare l'intervento della cavalleria eurista. A quel punto il popolo potrà anche essere chiamato alle urne: dovesse anche vincere la più sovranista delle forze politiche, si ritroverà al governo con mani e piedi legati, priva di qualsiasi autonomia sul piano economico e di conseguenza su qualsiasi altro piano.

Scacco matto alla Nazione.

Al momento, sembra di vedere una sola variabile concreta che potrebbe far saltare questo scenario: la decisione della Corte costituzionale sui quesiti referendari relativi al Jobs Act. Se i quesiti venissero ammessi, si dovrebbe andare a votare tra aprile e giugno prossimi, e una bocciatura popolare della riforma del lavoro aprirebbe scenari completamente nuovi e al momento imprevedibili.




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