martedì 6 giugno 2017

C'è la fila per comprare Alitalia. Ma non era un'azienda bollita?


Oggi i commissari nominati dal governo per gestire la svendita ristrutturazione e la cessione di Alitalia si sono ritrovati dal notaio per conoscere le manifestazioni di interesse a rilevare la nostra ex-compagnia di bandiera. Con loro stessa sorpresa, hanno contato ben 32 soggetti interessati con varie modalità all'acquisto del vettore tricolore.

Per il presidente dell'Enac Vito Riggio si tratta di un "risultato oltre le aspettative". Per chi si rifiuta di guardare la realtà attraverso le lenti distorte dell'autorazzismo invece, la notizia non stupisce granché.

Come già evidenziato in un articolo precedente, i problemi dell'ultima gestione Alitalia erano dovuti a scelte dirigenziali sbagliatissime soprattutto sui fronti di manutenzione, handling e assistenza passeggeri, carburante e locazioni. Ambiti specifici su cui è possibile intervenire. La compagnia è stata senz'altro gestita male, ma non è quel "carrozzone" fatto di stipendi di lusso, dipendenti parcheggiati a suon di raccomandazioni e sprechi senza fine che si è troppo a lungo dipinto. Un ritratto che forse era vero 30 o 40 anni fa, non di certo ora.

A fronte di una situazione difficile ma non irrisolvibile, Alitalia ha molto da offrire: l'Italia è uno dei maggiori mercati d'Europa per il trasporto aereo - in aumento dal 2014 di circa il 4% annuo, la compagnia dispone di numerosi slot di assoluto prestigio (nonostante la "curiosa" vicenda di Londra Heathrow) e di personale talmente qualificato da essere finito nelle mire di diverse compagnie straniere, cinesi in testa. Tutti elementi che la stampa qualunquista nostrana ignora, ma i 32 soggetti interessati all'acquisto della compagnia hanno ben chiari.

Nel caso di Alitalia si è puntato i riflettori sui costi fin qui sostenuti dallo Stato (7,4 miliardi di euro in 43 anni, la metà di quanto regaliamo al Fondo salva-Stati OGNI ANNO), omettendo di dire quanto costerebbe per le nostre tasche - in termini di ammortizzatori sociali, distruzione dell'indotto e mancate entrate fiscali - sia la cessione a compagnie straniere, sia lo "spezzatino", sia il fallimento della compagnia.

Ora, constatato che il problema dell'Alitalia non è strutturale ma manageriale, che la compagnia ha un valore superiore a quello contingente come attestato dall'alto numero di potenziali acquirenti, che la stessa non svolge solo un servizio commerciale ma garantisce anche servizi fondamentali per la nazione, che lo Stato ha già investito diversi miliardi per favorire privatizzazioni fallimentari, che l'attuale governo ha già impegnato 600 milioni di denaro pubblico (attraverso un prestito) per le "pulizie" in vista dell'ennesima cessione,

Non sarebbe opportuno chiudere il cerchio e riprendere il controllo pubblico della nostra compagnia nazionale?

Lo so, dopo decenni di bombardamento liberista per molti le parole "controllo pubblico" suonano come una bestemmia, qualcosa di cui non si può e non si deve parlare, eppure i dati Istat ci dicono che ogni anno le partecipate pubbliche portano nelle casse dello Stato circa 1 miliardo di euro di utili, e che la percentuale di aziende pubbliche in perdita è di 7,5 punti più bassa rispetto alle corrispettive aziende private (27,6% tra le pubbliche, 35,1% tra le private).
Ciò dimostra che è assolutamente possibile per lo Stato controllare aziende e farle funzionare efficacemente per contribuire al bilancio nazionale. E' ciò che è accaduto per 70 anni ed ha permesso all'Italia di diventare un gigante economico mondiale.

E' ciò che ancora accade tutti i giorni, nonostante tutto.

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